Attualità

Il Belpaese della cucina green. L’avanzata veg

di Lorenza Sebastiani -


Se qualcuno avesse detto al nonno Giuseppe, anni fa, che un giorno l’Italia avrebbe assistito a una vera e propria invasione di vegetariani e vegani, lui avrebbe risposto con un sorrisetto ironico e un’energica scrollata di spalle. Eppure, i dati Eurispes del maggio 2024 parlano chiaro: l’Italia è sempre più verde. No, non è un’improvvisa fioritura di nuovi parchi urbani o un aumento delle foreste, ma di un’ondata di italiani che hanno detto addio alla carne e ai prodotti di origine animale.
Secondo l’ultimo rapporto, ben il 10% degli italiani si è dichiarato vegetariano o vegano. Per la precisione il 9,5% della popolazione italiana è veg. Il 7,2% si identifica come vegetariano, mentre il 2,3% come vegano. È interessante notare che, tra il 2014 e il 2024, la percentuale di vegani è addirittura quadruplicata.
Questa statistica potrebbe sembrare un dato freddo e insignificante, ma in realtà nasconde un cambiamento emblematico nel nostro Paese. Pensateci: dieci italiani su cento rinunciano a bistecche, prosciutti, formaggi e uova. Per non parlare di quelli che guardano con sospetto persino il miele!
Ma non è solo l’Eurispes a confermare questo dato. Ricerche di mercato condotte da Nielsen, una delle principali aziende di ricerca e analisi dei consumi, hanno rilevato un aumento delle vendite di prodotti vegani e vegetariani in Italia. Secondo un rapporto del 2022, le vendite di prodotti vegani sono aumentate del 25% rispetto all’anno precedente.
Anche Ismea, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, ha pubblicato studi che confermano una crescente tendenza verso il consumo di prodotti a base vegetale. Nel loro rapporto annuale, hanno segnalato un aumento della domanda di frutta, verdura e legumi, nonché una diminuzione del consumo di carne rossa.
L’ascesa del vegetarianesimo e del veganismo sembra avere radici profonde, radicate nella consapevolezza ambientale e nel benessere animale. O almeno così dicono i sostenitori di queste diete. La salute del pianeta, dicono, passa anche attraverso il nostro piatto. Così, accanto alle eterne diatribe calcistiche e politiche, oggi nei bar e nei salotti italiani si discute anche di tofu, seitan e tempeh.
Le grandi catene di supermercati hanno colto la palla al balzo. I reparti di prodotti vegani si sono espansi a dismisura, e tra i corridoi si possono vedere famiglie intere ispezionare con cura le etichette, alla ricerca del certificato “cruelty-free”. E se un tempo le nonne italiane erano solite tramandare le ricette di lasagne al ragù e polpette al sugo, oggi i nipoti chiedono consigli su come preparare una buona quinoa o su come fare il latte di mandorla in casa.
Non è solo una questione di cibo. Il fenomeno si riflette anche nelle abitudini sociali e nei luoghi di ritrovo. Sono nati ristoranti esclusivamente vegani, bar che offrono solo dolci senza ingredienti di origine animale e persino parrucchieri che utilizzano prodotti cruelty-free. In fondo, essere vegani è uno stile di vita a tutto tondo.
Le fiere del gusto, un tempo regno incontrastato di salumi e formaggi, oggi riservano interi padiglioni a frutta esotica, cereali integrali e formaggi vegetali. I produttori di cibo tradizionale, all’inizio scettici e preoccupati per la nuova tendenza, hanno iniziato a diversificare la loro offerta, lanciando linee di prodotti vegani per non perdere una fetta di mercato sempre più significativa.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Tra gli onnivori si diffonde un malcontento latente. Alcuni bar hanno appeso cartelli con su scritto “Qui si serve carne”, quasi a voler ribadire un’identità gastronomica che si sente minacciata. Le chat di famiglia pullulano di battute sarcastiche sulle nuove abitudini alimentari dei più giovani, con zii e cugini che ironizzano su cene di Natale a base di insalate e zuppe di legumi.
Le trasmissioni televisive hanno cavalcato l’onda del cambiamento, i talk tra vegani e carnivori registrano picchi di ascolti. E ognuno pensa a guadagnare da questa svolta green. Chef stellati propongono ricette vegane in prima serata, e reality show dedicati alla cucina ospitano concorrenti che preparano menù interamente vegetali. Perfino i giudici più tradizionalisti devono ammettere che, in fondo, un buon piatto è un buon piatto, a prescindere dagli ingredienti utilizzati. E forse, allargare le proprie vedute verso nuovi alimenti, non è per forza un male.
Tutto questo fermento culturale e gastronomico ha un riflesso inevitabile sulla politica. Partiti e movimenti iniziano a includere nei loro programmi elettorali misure a favore della sostenibilità alimentare. Si parla di incentivi per chi produce cibo vegano, di riduzione dell’Iva su frutta e verdura, e persino di campagne educative nelle scuole per promuovere una dieta più sana e rispettosa dell’ambiente.
E così, mentre il nonno Giuseppe continua a storcere il naso davanti a una cena a base di tofu, il resto d’Italia sembra aver abbracciato con entusiasmo questa nuova tendenza. Chissà, forse un giorno il nostro Paese sarà ricordato non solo per la pasta e la pizza, ma anche per essere stato uno dei pionieri del movimento vegetariano e vegano in Europa.
Nel frattempo, la sfida è lanciata: riuscirà l’Italia a conciliare la sua tradizione culinaria millenaria con le esigenze di una popolazione sempre più consapevole e attenta alla sostenibilità? Solo il tempo ce lo dirà. Intanto, buon appetito, la rivoluzione culinaria è appena cominciata.


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