Economia

A Bruxelles va di moda il dazio

di Giovanni Vasso -

epa03905221 A customer looks at clothes displayed at Uniqlo flagship store in Tokyo's Ginza shopping district, Japan, 11 October 2013. Japans Fast Retailing Co. shares are trading lower after the operator of the Uniqlo casual clothing chain announced a lower than expected group net forecast. On 10 October, Fast Retailing Co, said its annual sales surpassed 1 trillion yen (10.3 billion dollars) for the first time, thanks to strong sales in Asia. Sales in the financial year through August 31 jumped 23.1 percent from a year earlier to 1.14 trillion yen. Uniqlo sales abroad rose 64 percent amid growing sales in China and South-East Asian countries including Singapore, Malaysia and Thailand but its domestic operations are decreasing in profit. EPA/FRANCK ROBICHON


Partono i saldi ma quest’anno, in Europa, va di moda il dazio: la Commissione europea starebbe pensando a stangare le piattaforme cinesi di fast-fashion e, più in generale, di e-commerce. Dopo le auto elettriche, l’Europa sarebbe pronta a mettere in campo una strategia doganale per contenere lo strapotere (e il successo travolgente) dei prodotti cinesi dell’abbigliamento a basso costo. Nel mirino di Bruxelles ci sarebbero l’onnipresente Shein, la prima app cinese per volumi e popolarità, poi c’è Temu, che ha innescato una guerra al ribasso dei prezzi proprio contro la piattaforma connazionale e infine ci sarebbe anche AliExpress. La strategia prevedrebbe l’imposizione di dazi doganali anche per gli articoli di valore inferiore ai 150 euro che, allo stato attuale, godono di un regime di esenzione. Le indiscrezioni, anticipate dal “solito” Financial Times, stanno raccogliendo, ora dopo ora, sempre maggiori conferme. Per la moda europea, l’eventuale imposizione di un dazio, sarebbe un colpo importante. Non tanto per le maison né per le griffe che, dall’avanzata travolgente del fast fashion cinese, non ci hanno rimesso granché. E, anzi, hanno trovato nuova linfa per differenziarsi e per lanciare nuovi slogan finalizzati a fidelizzare i clienti mediante gli approcci etici alla produzione. Ma per le catene a medio budget che, in questi anni, hanno visto deprimersi i loro affari. Società che, peraltro, pagano solo le conseguenze della corsa al ribasso vedendosi travolte dalle polemiche scatenate dai gruppi ambientalisti. Ma c’è anche qualcun altro che rischia grosso con l’approdo, in Europa, dell’ecommerce cinese. Si tratta, per esempio, di Amazon che, dopo aver creato più di un grattacapo all’economia di prossimità, sta tentando di trovare una soluzione alle perdite (di affari e di clienti) studiando un’apposita strategia di negozi low-cost dedicati a una fetta di pubblico affezionata alle grandi occasioni e agli sconti. E ci sono, chiaramente, anche i negozi. Che hanno iniziato la stagione estiva dei saldi con prudenza. Secondo il Codacons, il giro d’affari dei saldi di fine stagione ha perduto attrattività nei confronti dei cittadini. E perde fino a un miliardo di fatturato rispetto a dieci anni fa, passando dai 4 miliardi del 2014 ai circa 3 miliardi previsti per quest’anno. Oggi, affermano i consumatori, solo il 55% degli italiani si fionderà in un negozio di abbigliamento o calzature alla ricerca di qualche affare. Per il Codacons non è (solo) colpa dei cinesi: “Tra e-commerce, sconti online e pre- saldi oramai divenuti una prassi per tutte le catene commerciali – spiegano i consumatori – i saldi hanno perso il loro potere attrattivo sui consumatori, che possono fare acquisti a prezzi scontati tutto l’anno approfittando delle offerte sul web o delle promozioni speciali nei negozi. Se gli italiani sono sempre meno interessati ai saldi, si ripongono grandi speranze nei turisti stranieri che in questo periodo dell’anno affollano le città italiane e le località di vacanza, e che potrebbero dare una spinta alle vendite nel periodo di sconti”. Stando ai conti di Ipsos per Fismo, l’associazione dei negozi di moda di Confesercenti, il giro d’affari dei saldi di fine stagione sarà più alto rispetto a quello ipotizzato da Codacons. La stima è di 3,5 miliardi di euro, per una spesa complessiva di cento euro a persona.

Ma i saldi sono partiti (anche) sulle piattaforme. E dreneranno molto del budget delle famiglie. Anche perché, in tempi duri, si cerca di risparmiare quanto più possibile. Senza rinunciare al piacere di acquistare un abito particolare, con la consapevolezza che durerà poco. I numeri dell’online e dell’import in Europa a esso collegati sono imponenti. La Commissione, che da tempo ha avviato un’inchiesta sul fenomeno, riferisce che ogni anno arrivano sui mercati del vecchio Continente circa 2,3 miliardi di articoli venduti a un valore inferiore ai 150 euro. Di questi, ben 350mila (solo ad aprile) sono venduti da piattaforme online. Il trend sarebbe addirittura raddoppiato in pochi mesi e avrebbe causato l’aumento dei traffici aerei tra la Cina e l’Europa. Causando nuove proteste da parte dei soliti ambientalisti contro l’inquinamento. Insomma, è un cane che si morde la coda. Ma una cosa è certa: a Bruxelles, quest’anno, va di moda il dazio.


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