Attualità

I POTERI CORTI – Dirigismo o no? Questo è il problema

di Marco Travaglini -


In un articolo pre-Covid e pre-guerre del 25.09.2016, il Prof Prodi affrontava la generalizzazione dell’incentivo di Industria 4.0 varato dall’allora ministro Calenda, che dava la possibilità di accedere al credito di imposta a tutte le aziende, di ogni categoria, dimensione e settore, a fronte di un investimento anche di soli 30.000 euro.
Alla luce di un’oggettiva analisi sulla bassa produttività delle PMI, il Professore sottolineava come tale gestione degli incentivi e la loro mancata focalizzazione su settori e aziende deboli, fosse un errore strategico.
Sono cambiate le stagioni, i governi, gli scenari e, a partire dal Governo Draghi, il Patent Box, da “credito d’imposta” derivante dalla vendita (che detassava gli introiti di prodotti coperti da brevetto), è stato trasformato in strumento di detassazione degli investimenti, consentendo di scaricare l’Ires soprattutto a quelle aziende che, di Ires, ne hanno parecchia, probabilmente in ragione delle loro dimensioni e tecnologie, capaci di generare ampi margini.
Per non parlare delle ultime misure, faticosamente varate dal Governo (soprattutto nei decreti attuativi), nelle quali il ministro Urso – portavoce di un approccio e visione, diremmo novecenteschi, di un’Europa che deve tornare ad essere fabbrica del mondo e di un concetto, forse non sufficiente per lo sviluppo, di Made in Italy – propone incentivi per investimenti superiori a 200.000 euro, su impianti e strumenti “hard” dell’industria manifatturiera, a totale discapito di quella dei servizi.
Ma insomma, gli incentivi a chi spettano? Chi potrà offrire maggiore valore diffuso grazie al loro utilizzo?
Se Calenda aveva “ritrovato” (secondo suoi dati) circa 10 miliardi di euro (10 miliardi!!) “sparsi” dentro l’allora Mise, affermando che erano la somma di decine di misure agevolative non attuate e/o poco utilizzate nei bandi di assegnazione, oggi (come ieri..) gli incentivi comunitari settennali tornano indietro secondo la regola del disimpegno automatico: “se non li spendi, me li riprendo”, dice l’UE.
Viene da chiedersi, allora, se al di là di dirigismo o liberismo (o spesso nepotismo), non vi sia un problema di progetto, progettazione e messa a terra di investimenti, specie in momenti di discontinuità aziendali che devono assolutamente essere migliorati.
Quale sarebbe la differenza di indotto tra i due indirizzi di politica economica, se i soldi non riusciamo a spenderli ne con i più deboli, come diceva Prodi, ne con le industrie, come vorrebbe Urso?
Non sarà opportuno valutare un “dirigismo di metodo”, più che di merito? Incentivare tutte le strutture statali e le realtà del terziario atte a favorire, così, la messa a terra di progetti d’innovazione? Consentendo così all’economia del Paese di non ritrovarsi, ad esempio, come tanti sindaci di molte città, che hanno la possibilità di accedere alle misure del PNRR, ma sono sprovvisti di ingegneri, progettisti, project manager, uomini di design e attuatori, cioè di figure in grado di capire come far fruttare e sfruttare queste ingenti somme.


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