L’INTERVISTA – Da Bolzano all’Aja: Cuno Tarfusser il magistrato che ha riaperto il caso di Erba
epa07285962 Presiding Judge Cuno Tarfusser enters the courtroom of the International Criminal Court in The Hague, Netherlands, 15 January 2019, where judges were expected to issue rulings on requests by Gbagbo and an ex-government minister Charles Bee Goude to have their prosecutions thrown out for lack of evidence. EPA/PETER DEJONG / POOL
INTERVISTA A CUNO TRAFUSSER – DI ANNA GERMONI
Cuno Tarfusser è il magistrato che ha fatto riaprire il caso della strage di Erba. Alla guida della procura di Bolzano è passato alla Corte penale internazionale dell’Aja. Dal 2019 presso la Corte d’appello di Milano, si è candidato alle europee con Azione.
Una sua analisi del voto. “Sono rimasto molto deluso. Sotto un profilo personale ma soprattutto per il basso livello politico. Ho deciso di accettare la candidatura perché ritenevo queste elezioni le più importanti di sempre e volevo offrire il mio contributo di esperienza e di conoscenza che purtroppo in questa società dominata dalla mediocrazia urlata non contano nulla”.
È deluso per l’esito?
“Sono rimasto disturbato dalla one man show di Calenda, che aveva dichiarato di non presentarsi per poi presentarsi ovunque, ignorando i candidati che aveva detto ai quattro venti rappresentavano il meglio del Paese. Poi la ridicola sceneggiata su come si beve da una bottiglia di plastica con il tappo attaccato. Non si possono combattere le battaglie politiche sempre al ribasso!”.
Calenda, l’ha sentito?
“No. Ho visto la conferenza stampa in cui ha espresso tutto il suo disappunto per la sconfitta, dicendo che aveva sentito e ringraziato tutti i candidati. Gli ho mandato un whatsapp, ’forse hai telefonato a tutti, certo non a me’. Non mi ha degnato di una risposta”.
Undici anni presso la Corte internazionale dell’Aja, un bilancio.
“Due bilanci. L’uno personale e professionale, l’altro riguardante la Corte come organizzazione. Personalmente essere stato per 11 anni uno di soli 18 giudici del massimo organo di giustizia è di per di sé straordinario. A ciò si aggiunge l’arricchimento culturale, di conoscenze, di mentalità, di giurisdizioni diverse, di confronto continuo, senza eguali. Certo il dialogo con i colleghi non sempre è facilissimo”.
È stato vicepresidente della Corte e presidente della Divisione preliminare. Com’è la CPI?
“Se mi chiede se la Corte penale internazionale è quella che mi aspettavo, rispondo di no. Il conflitto tra politica e giustizia, tra Stati sovrani e magistratura è fortissimo. Un giorno, camminando sulle dune dell’Aja, mi sono chiesto perché gli Stati fanno in modo che la Corte, che pure ha un enorme potenziale, funzioni solo a fiamma ridotta. La risposta tanto logica quanto disarmante: che interesse possono avere 124 Stati che hanno ratificato lo Statuto, gran parte dei quali non sono stati di diritto, ad avere una Corte penale sovranazionale che funzionando, dovrebbe sanzionare proprio le violazioni alle regole basilari dello stato di diritto?”.
Oltre al pressing politico degli Stati sulla magistratura internazionale, quali altri fattori?
“La firma nel luglio 1998 del Trattato di Roma istitutivo della Corte penale internazionale è stata celebrata dalla comunità internazionale come il successo politico-diplomatico più grande dopo la nascita delle Nazioni Unite. I politici di allora pensavano di poter solo raccoglierne i frutti in termini di consenso. Mai immaginavano che dovessero occuparsi anche di gestire l’entrata in vigore della Corte. Lo ritenevano compito di future generazioni politiche”.
Perché mai?
“Il trattato aveva fissato l’entrata in funzione della Corte alla ratifica dello Statuto da parte di 60 Stati. Un numero alto che, per il clima politico di apertura e di solidarietà, dopo il crollo del muro di Berlino regnava, è stato raggiunto in soli quattro anni. Questa velocità ha creato diversi problemi, il più grave, quello della crescita incontrollata in cui, sui valori della giustizia, del diritto e dei diritti, hanno prevalso quello dei singoli stati alla rappresentanza geografica e dei sessi, con buona pace per merito, esperienza e professionalità. Tutto il mondo è paese mi viene da dire. Un altro problema sorto immediatamente, non appena abbiamo iniziato a trattare i primi casi, è che il prodotto “Corte” appena nato, era pensato più come watch dog, che come organismo giudiziario efficace ed efficiente. La pace era ormai considerata come irreversibilmente acquisita”.
Una vicenda l’ha maggiormente colpita umanamente?
“Negli 11 anni di servizio alla Corte, ho lavorato a tutti i casi. Difficile fare una classifica dell’orrore, ma sicuramente quello di Dominic Ongwen, ex bambino soldato ugandese diventato colonnello dell’esercito di Resistenza del Signore (LRA ndr), un gruppo ribelle di terroristi di matrice cristiana che si contrapponeva all’esercito nazionale. Colpevole di 61 capi d’accusa, condannato a 25 anni di reclusione per crimini contro l’umanità e di guerra nel 2021. Più di 4.000 vittime hanno partecipato al processo. Ongwen è stato condannato di brutalità indescrivibili: omicidi, stupri, schiavitù sessuale nei confronti di bambine e bambini soldato. Barbarie insomma. Nella fase preliminare al dibattimento ho interrogato diverse giovani donne, brutalizzate nel corpo e nell’anima sin da quando erano bambine. Ricordo, una di queste che parlava come se avesse una paresi al mento e mandibola. Ha raccontato che durante un conflitto a fuoco, riuscì a scappare. Arrivando ad un corso d’acqua si chinò per bere ma non ci riuscì. Si accorse solo allora che un proiettile vagante l’aveva colpita frantumandole la mandibola. Era distrutta fisicamente e psicologicamente, come tutte le altre vittime di questo bruto. Racconti strazianti. Chiusa l’istruttoria lo abbiamo mandato a giudizio anche per matrimonio forzato, che come tale non esiste nello Statuto. I puristi del diritto penale, salteranno sulla sedia, ma nell’ambito del diritto internazionale penale vi è una norma “aperta” che prevede la possibilità di far rientrare nel crimine contro l’umanità anche condotte “inumane che causano grandi sofferenze o danni al corpo o alla salute mentale e psichica”.Non ci rendiamo conto che siamo dei privilegiati nel vivere qui”.
I conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese. C’è una lettura illusoria delle dinamiche geopolitiche, che attua una distinzione fra amici e avversari?
“Questi due assurdi conflitti li osservo come cittadino preoccupato e li valuto come magistrato. Mettendoli uno vicino all’altro, osservo la schizofrenia per cui, da un lato, giustamente, si sostiene l’Ucraina come popolo invaso, dandole armi e soldi, dall’altro per puro parallelismo e coerenza si dovrebbe fare altrettanto con Gaza. Netanyahu invece è libero di radere al suolo un territorio che non è suo, sacrificando decine di migliaia di vite per rimanere al potere. Nessuno lo ferma in questa follia. Possibile che politica e diplomazia siano così deboli e soprattutto contradditorie? Quale magistrato rilevo come gli osservatori e commentatori di entrambi i conflitti denotino una conoscenza confusa e rudimentale del diritto internazionale penale. Un esempio per tutti è l’utilizzazione a sproposito della parola “genocidio” rispetto ad entrambi i conflitti”.
Caso Toti, quattro anni e mezzo di indagini e nessun rinvio a giudizio. Ai domiciliari dal 7 maggio, si sta congelando di fatto una Regione. È giustizia questa?
“Non conosco nulla del caso Toti, ma conoscendo bene il “sistema” nulla mi meraviglia. Né la durata delle indagini, né la misura cautelare. Siamo maghi, sia ad allungare le indagini ben oltre la durata massima prevista dalla legge attraverso il gioco delle scatole cinesi, sia a giustificare con argomenti fumosi la sussistenza di esigenze cautelari. Il vero problema è che abbiamo una magistratura, soprattutto requirente, che si sente investita di una missione purificatrice della società e una politica debole, paurosa, succube della magistratura. Trovo desolante che la politica si subordini sempre alle volontà di un’associazione privata qual è l’ANM, che confonde l’autonomia e l’indipendenza della magistratura con l’immunità. Non so se il processo, certamente la misura cautelare a Toti, è il frutto avvelenato di questa subordinazione”.
La morte di Satnam Singh, il bracciante agricolo che sognava un mondo migliore, gettato in agonia come un rifiuto d’immondizia. Il padre dell’imprenditore che ha compiuto questo gesto inumano, è indagato dalla procura di Latina da cinque anni per caporalato. Cinque anni…
“Una vicenda allucinante, inumana. Ma anche in questo caso non mi stupisco di nulla. Oltre i moniti politici e lo sgomento per la crudeltà del fatto, si è mosso qualcuno? Qualcuno è andato a vedere le cause di questa lungaggine? Disorganizzazione? Incapacità? Incuria? O si ha paura della reazione dell’ANM ad un’ispezione?”.
Csm, quale soluzione per uno stop al correntismo?
“C’è un’unica soluzione per ricondurre le correnti nel loro alveo naturale della discussione di questioni giuridiche: ridurre da 2/3 ad 1/3 la rappresentanza nel Consiglio attraverso la semplice modifica dell’articolo 104 della Costituzione. Cosa fa invece il Ministro? Triplica gli organismi, due CSM e una Corte disciplinare, mantenendo in tutte e tre la maggioranza di magistrati. Quindi si passerà dal fallimento di un autogoverno al fallimento di tre autogoverni. Meno male che non ci sarò più!”.
Quali riforme se lei fosse il consigliere giuridico del ministro Nordio?
“Quella appena citata, sicuramente. Inoltre a proposito di fascismo e antifascismo, andiamo oltre gli slogan da mantra. Sono 80 anni che questo Paese non è riuscito a darsi un sistema giudiziario repubblicano. I nostri codici, l’ordinamento giudiziario, molte altre leggi fondamentali in materia giudiziaria, sono firmate dal Re e da Mussolini. Certo, sono intervenute mille modifiche che però hanno reso il sistema disomogeneo. Urge una legislatura dedicata a disegnare un sistema giudiziario nuovo, degno di questo terzo millennio”.
Una melodia che le è cara?
“Sono europeista, quindi la Nona Sinfonia di Beethoven con il suo Inno alla gioia”.
Se fosse il protagonista di un testo?
“Il dottor Thomas Stockman, di Un nemico del popolo di Ibsen. Un uomo che vive di verità e per il bene collettivo. Isolato dalla società, non ha paura di combattere da solo le istituzioni malate, marce”.
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