Editoriale

Troppi temi e i problemi?

di Adolfo Spezzaferro -


Chiediamo lumi su una questione che ci sta molto a cuore, perché “le parole sono importanti” (per citare una frase abusatissima presa da un film di Moretti di quando faceva ancora bei film): ma da quando la matematica è stata sostituita dalla letteratura? Vogliamo essere illuminati su questa questione perché sentiamo puzza di bruciato. Anzi, se ci permettete un po’ di linguaggio colloquiale, puzza di sòla, di fregatura. Prima però facciamo un passo indietro. Anzi, torniamo all’inizio. In principio era il linguaggio, si dice. E noi viviamo presso il linguaggio. Questo logos di cui sentivamo parlare a scuola (che poi è il Verbo della Bibbia) per Martin Heidegger (il più grande filosofo del Novecento, perché filosofo vero, in quanto ontologo) è la Lichtung. Ossia la radura, l’apertura, il luogo illuminato all’interno di un bosco, dove il pensiero e l’essere possono tornare a incontrarsi dopo millenni di separazione. Il luogo della luce in mezzo alla selva oscura. Il linguaggio illumina dunque, come una torcia in una cantina ma pure come il Sole al Solstizio a Stonehenge, luce come somma e non solo come opposto delle tenebre. Per capirci meglio, è la luce di Monet e non la luce di Caravaggio. Quella luce nella luce che è il linguaggio è quindi un faro diurno, un guardrail catarifrangente in pieno giorno. Ma questa luce può abbagliare, come uno specchietto per le allodole. E qua veniamo al punto. Se ci fate caso, da un po’ di tempo è in voga una tendenza linguistica che fa riflettere (sì, come la luce). Nei dibattiti, da ultimo in Aula in Senato, ma anche nelle piazze (anche televisive) sentiamo parlare dei cosiddetti grandi temi. Quelli delle riforme, quelli dell’agenda di governo. Quelli delle battaglie delle opposizioni (ah, no…). Ma poi sentiamo pure dire frasi tipo: “Il tema del sovraffollamento nelle carceri”. Ecco, saremo pure all’antica, ma semmai stiamo parlando di un problema. Il tema ha sostituito il problema, le lettere i numeri, la poesia in vece della realtà. Chiamiamo le cose con il loro (vero) nome. Non vorremmo che a forza di sentire “tema” al posto di “problema”, certe urgenze critiche, certe emergenze ci facciano meno impressione. Attenzione all’abbaglio: la parola può essere edulcorata ma la realtà dei fatti di cui parla, quella non si addolcisce.


Torna alle notizie in home