Inside Out 2: è Ansia a traghettarci nel mondo degli adulti
Dopo anni e anni di attesa è arrivato finalmente il sequel di Inside Out, trionfo al botteghino della stagione 2015 con la grande ambizione di impartire un’educazione emotiva a grandi e piccini.
È nell’interiorità di Riley– una distesa labirintica ingegnosamente dettagliata, in parte Luna Park e in parte cantiere – che le emozioni di base (Gioia, Rabbia, Paura, Disgusto e Tristezza) la guidano, delineando, gestendo e a volte sconvolgendo il suo pensiero e le sue azioni.
E lo fanno per mezzo di una console di controllo a metà tra un joystick e un mixer sonoro, che diventa più complessa man mano che Riley cresce.
Alla fine del primo film si era materializzato sulla console un nuovo misterioso pulsante: “pubertà”.
All’inizio del sequel quel pulsante è diventato un allarme rosso lampeggiante che promette solo guai.
Dopo nove anni (visto che il tempo dell’animazione è relativo) troviamo Riley ancora alle scuole medie, appassionata di hockey e in procinto di andare al liceo. La ragazzina ha tredici anni e nel quartier generale della sua emotività irrompono con la forza distruttiva di un tornado le emozioni della pubertà: Imbarazzo, Ansia, Invidia, Noia e ogni tanto anche Nostalgia.
Kelsey Mann firma un nuovo capitolo della saga, sempre brillante, tenero e dolorosamente veritiero sul faticoso passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Malgrado Gioia sia sempre al centro, la vera protagonista di Inside Out 2 è Ansia, a cui, nel doppiaggio italiano, ha prestato la voce la deliziosa Pilar Fogliati.
È lo stesso Mann a chiarirlo: “Ho sempre immaginato che questo fosse un film sull’ansia che prendeva il sopravvento e riflettevo sulla mia vita e su come la mia ansia lo facesse in me. E nell’istante in cui la mia testa tocca il cuscino, comincio a pensare al giorno dopo, a pensare e a preoccuparmi di cosa potrebbe andare storto e di come potrei impedirlo. E ho pensato che molte persone possono facilmente relazionarsi con questi meccanismi”. Ansia infatti cerca di anticipare gli accadimenti futuri preparandosi per ogni scenario catastrofico in agguato.
Bellissima e toccante la scena finale della partita di hockey in cui tutto va storto e Ansia, nel tentativo di rimediare, va fuori controllo e si paralizza, creando un vortice che visto dall’esterno altro non è che un attacco di panico.
Per la Pixar ogni spettatore adulto è un po’ come Anton Ego, il cupo critico gastronomico di Ratatouille, che, assaggiando con fare snob un piatto povero e apparentemente semplice come la ratatouille, ritorna con la mente e con il cuore a un momento felice della propria infanzia. Quell’emozione permette a Ego di liberarsi dei preconcetti e di arrendersi al piacere come faceva da bambino. Quello che la Pixar si aspetta da tutti i propri spettatori.
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