Bruxelles non fa passi indietro, da oggi saranno applicati i dazi sulle auto elettriche prodotte in Cina. Dureranno per (almeno) quattro mesi, poi si vedrà. Ma il dibattito non è chiuso e mentre i produttori di auto tedeschi chiedono di ripensare la misura, timorosi di contraccolpi sul (loro) export in Asia, il ministro all’industria italiano Adolfo Urso chiede che sia il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, a dirimere la questione e ad appianare le divergenze tra l’Unione europea e Pechino.
Ieri mattina la Commissione Ue ha confermato che, da oggi, entreranno in vigore i dazi decretati il 12 giugno. Qualcosina è cambiato riguardo la quantificazione del sovrapprezzo che sarà imposto a ogni singola azienda. In particolare, per Geely (che, tra le altre cose è titolare della maggioranza delle azioni di un marchio europeo storico come Volvo) la quota scende al 19,9% rispetto al 20% stabilito tre settimane fa. Per Saic, affardellata da un’aliquota iniziale del 38,1%, c’è lo sconto al 37,5% mentre per Byd rimane invariata al 17,4%. Proprio quest’ultimo marchio, che nelle ultime settimane sta avendo una visibilità pazzesca grazie al fatto di essere tra i top sponsor degli Europei di calcio che si stanno giocando in Germania, starebbe pensando di aprire nuove fabbriche in Thailandia. Magari, dicono gli analisti più smaliziati, per aggirare i dazi e tornare a vendere a prezzi bassi sul mercato Ue. Intanto, per tutto gli altri produttori cinesi di auto ci sarà un aggravio del 20,8% (se hanno collaborato all’inchiesta Ue) o del 21% per chi ha deciso di non farlo.
Da Pechino arriva l’appello a “raggiungere al più presto un piano di soluzioni accettabili per entrambe le parti”. Il portavoce del ministero del Commercio cinese, He Yadong ha ribadito l’opposizione cinese, una volta di più, alla scelta europea di imporre dazi a seguito delle indagini anti-sussidi. Ma, più che mostrare durezza, la Cina punta a risolvere la questione dazi confidando in quel che potrebbe accadere da qui a quattro mesi. Già, perché i dazi Ue dureranno 120 giorni finché toccherà agli Stati membri votare per decidere se confermarli o se cassarli. La vicenda è complessa, molto più di quanto possa apparire. Non è una questione solo di slogan. I rapporti tra Ue e Cina sono forti e radicati e la rottura delle relazioni potrebbe causare ripercussioni importanti sugli attori economici europei e sulle catene di approvvigionamento. Al di là delle ritorsioni (come l’apertura di un’inchiesta analoga a quella Ue, da parte cinese, sull’export europeo di vino e carne animale), c’è il grande tema del futuro dell’automotive. I grandi produttori tedeschi della filiera, tra cui Volkswagen, Bmw, Mercedes, Bosch, Continental e Zf Group, riuniti nella Vda, hanno emesso un documento in cui chiedono, ufficialmente, all’Unione europea di fare un passo indietro. Temono, per colpa dei dazi, di perdere quote di mercato in Cina per l’export di auto di grossa cilindrata poiché Pechino è “il maggior acquirente di export dai fornitori tedeschi” e, secondo i dati, le aziende europee e tedesche “hanno esportato parti per un valore di 11,2 miliardi” a fronte di un flusso inverso di molto minore e stimato in circa 2,8 miliardi di euro. La richiesta di case e filiera tedesca dell’auto all’Ue è semplice quanto netta: “Le tariffe anti-sovvenzioni non sono una misura adeguata per rafforzare la competitività e la resilienza europea a lungo termine. Invece, dovrebbero essere perseguite altre strategie per promuovere la forza innovativa e la competitività dell’industria automobilistica europea, ad esempio, concludendo accordi di libero scambio, promuovendo la ricerca e l’innovazione in modo mirato e non burocratico e perseguendo una politica aperta a tutte le tecnologie e coerente. Le restrizioni commerciali inoltre non soddisfano la richiesta dell’Ue di accesso al mercato nei mercati terzi”. Bruxelles non potrà non tener conto della presa di posizione della potentissima lobby automobilistica tedesca. Mentre, anche dall’Italia, arriva una posizione interessante sul caso. Ed è quella del ministro Urso che su X ha scritto: “Auspico che si trovi una soluzione negoziale perché i dazi sono solo uno strumento ma la soluzione è cosa diversa” e andrebbe trovata “all’interno del Wto perché noi siamo per un mercato libero ma equo”. Non è un mistero che il titolare del Mimit vorrebbe portare in Italia parte della produzione di auto cinesi per svincolare il Paese dalle strategie di Stellantis con cui, nel corso dei mesi, ha ingaggiato un braccio di ferro importante che va dal capitolo sussidi fino a quello occupazionale passando per l’italianità della produzione.