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Le mani dei fondi stranieri sul calcio italiano in crisi

di Ivano Tolettini -


La finanza internazionale è arrembante sul calcio italiano in crisi di identità. Ma, paradossalmente, le potenzialità inespresse del settore possono far intravvedere opportunità di investimenti profittevoli. A patto che la musica gestionale cambi, come da tempo afferma inascoltato Sergio Gasparin (nella foto), manager sportivo di lungo corso proveniente dal mondo industriale, con trascorsi nella massima serie a Vicenza, Venezia, Udine, Messina e Catania, ed a livello europeo in Inghilterra, con risultati esaltanti: dalla Coppa Italia col Vicenza in utile per miliardi di lire nel 1997, all’ottavo posto del Catania nel 2014 e una gestione positiva per milioni. Intanto, nella prossima stagione metà dei club di A sarà in mano agli stranieri: gran parte fondi americani. Dall’Inter (Oaktree) al Milan (RedBird); dalla Roma (The Friedkin Group) al Bologna (Joey Saputo) e alla Fiorentina (Rocco Commisso); dal Genoa (777 Partners) all’Atalanta (Stephen Pagliuca e Divyanik Turakhia), e al Parma (Krause Group), per concludere col Venezia (Duncan Niederauer) e il Como dei magnati indonesiani Hartono, il valzer dei cambi societari è sempre più insistente. Così mentre il Ct Luciano Spalletti è a caccia non solo della quadra per esorcizzare sabato la Svizzera negli ottavi degli Europei, dopo il miracoloso passaggio del turno con la Croazia nell’ultima azione, ma anche della gola profonda che spiffera i segreti dello spogliatoio azzurro e che lo fa litigare con i giornalisti, il calcio tricolore si fa i conti in tasca e scopre che al cospetto degli altri principali campionati (Inghilterra, Spagna, Germania e Francia) deve darsi una regolata per competere non solo in campo. Del resto, dai diritti televisivi, che in Italia valgono meno della metà della Premier League (1,95 miliardi di euro annui), alla ferita sanguinante degli stadi, basti pensare a Milano e Roma dove i club hanno difficoltà a trovare la soluzione, il prodotto calcio difetta di gestione autorevole. “Che la Lega abbia necessità di una governance diversa dall’attuale credo che sia indiscutibile – analizza Gasparin – e i numeri della cessione dei diritti Tv fino al 2029 a 900 milioni annui, quando nel triennio precedente fruttavano il 9% annuo in più, sono davvero eloquenti”. Ma la circostanza che i club siano sempre più appetiti dai fondi internazionali per Gasparin è positiva perché “è evidente che nel momento in cui un numero importante di società viene acquisito dagli stranieri, il verbo di riferimento diventa la managerialità gestionale sia dei club che della Lega. Un po’ alla volta le figure presidenziali vengono sostituite da realtà professionali che si confrontano sui numeri che ancora oggi continuano ad essere disastrosi dal punto di vista economico finanziario, perché il fronte costi ricavi è clamorosamente in rosso”. Il motivo ad avviso di Gasparin è duplice. “Il primo – osserva – non c’è dubbio che siano i diritti televisivi, in particolare i diritti esteri, perché il calcio italiano è sottostimato rispetto ad esempio alla Premier inglese. Il secondo è che i club europei, non solo quelli di prima fascia, ma anche quelli olandesi o belgi, hanno ricavi dalla gestione degli stadi che i nostri club si sognano. L’Italia è ancora molto lontana per arrivare a una situazione efficiente e professionale, e questo stride con un movimento che ha le carte in regola per essere di punta”. La Serie A, e ancora di più la Serie B, è fanalino di coda nell’impiantistica sportiva rispetto alla maggior parte dei paesi europei. Una situazione deprimente per un grande Paese qual è il nostro. “Il governo dovrebbe modificare la legge sugli stadi – conclude Gasparin – che è datata e del tutto inefficiente. Il ruolo della proprietà non è quello del benefattore, ma dell’imprenditore che deve potere programmare scelte commerciali e immobiliari. Per questo se l’esecutivo Meloni verrà incontro alle esigenze delle società, il prodotto calcio potrà crescere a vantaggio dell’intera collettività nazionale”.


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