Attualità

IN GIUSTIZIA – Sarà salvo il principio “Pacta sunt servanda”?

di Francesco Da Riva Grechi -


Uno dei fondatori della modernità giuridica, che tanto a passiona gli storici del diritto, è stato Ugo Grozio (1583 – 1645), olandese, che nel 1625 compose l’opera “De iure belli ac pacis” (“Il diritto della guerra e della pace”) che affermò l’allora rivoluzionario principio “Pacta sunt servanda” che, al di là dell’evidenza (“Gli accordi si rispettano”), andò a rompere il dominio della forza in campo militare per affermare le possibilità di un diritto universale (fu uno dei primi cosiddetti “giusnaturalisti” che inventò il “diritto naturale” per affrancarsi dal dominio di quello religioso e che fu quindi antesignano del concetto di laicità dello Stato). Per secoli si designò il diritto internazionale come “pattizio”, vale a dire come l’insieme degli accordi, bilaterali o plurilaterali, che univa gli Stati in alleanze che dal secolo scorso divennero progressivamente Convenzioni sui diritti umani. L’infame conflitto in Palestina evidenzia, in negativo ed a posteriori, ovverosia dopo che il processo di pace innescato dagli “accordi di Abramo” si è interrotto, e quando sembra ormai irrimediabilmente compromesso, che il problema fondamentale di quella terra e di quei popoli tormentati consiste proprio nella irrilevanza di qualsiasi accordo o solo tregua momentanea che, regolarmente, viene travolta dagli eventi, dall’odio e dalle vendette. Purtroppo, gli Stati dell’area sono in qualche modo a sovranità limitata, nel senso di non essere pienamente padroni del proprio destino e gli accordi di pace noti come di “Abramo” siglati il 15 settembre 2020 sotto l’amministrazione Trump, e che il suo successore democratico, Joe Biden, aveva cercato di estendere all’Arabia Saudita, siano saltati per l’esercizio della propria influenza da parte di potenze rimaste, inevitabilmente, estranee. La stessa Hamas, non nega di essere alleata dell’Iran e che quest’ultima, abile nel provocare le parti sul campo, riesca ad ottenere, attraverso azioni terroristiche come quella del 7 ottobre 2023, interventi e reazioni militari violente e sproporzionate, incompatibili con il rispetto degli accordi. Strategicamente, per l’Iran, questo conflitto consente di giocare un ruolo strategico rilevante. Gli Stati arabi firmatari di questi accordi di pace e di collaborazione culturale, commerciale e per il rispetto dei diritti umani con Israele e Stati Uniti, erano, fino ad ora, il Regno del Bahrein, il Regno di Marocco, gli Emirati Arabi Uniti, la Repubblica del Sudan. Saranno rispettati? Sarà salvo il principio “Pacta sunt servanda”? Proseguirà un laico processo di affermazione di un diritto della pace e della convivenza, fondato sulla ragione e la ragionevolezza? L’odierno diritto naturale universale della pace, della vita e del benessere fisico e mentale per tutti, come vogliono molteplici trattati e programmi delle Nazioni Unite e infiniti organismi non governativi, riuscirà ad affermarsi? Speriamo di sì, perché la posta in gioco è alta. Processi di pace e di guerra si fronteggiano, nel Mediterraneo e nel Mar Nero, ai confini dell’Europa e dell’occidente. Per noi sarebbe essenziale, insieme agli Stati Uniti, governare pacificamente questo confronto oggi senza cercare in modo ridicolo di preparasi una poltroncina al tavolo della pace domani quando la forza avrà prevalso e con essa, irrimediabilmente, la distruzione.


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