Addio a Jerry West, il “logo” dell’Nba
epa07821278 US President Donald J. Trump (R) presents the Presidential Medal of Freedom to NBA Hall of Fame member Jerry West (L) during a ceremony inside of the Oval Office at the White House in Washington, DC, USA, 05 September 2019. West, 81, graduated from West Virginia University and played fourteen seasons with the Los Angeles Lakers. EPA/TOM BRENNER / POOL
Prima di Luka Doncic, Lebron James e Victor Wenbanyama. Prima di Allen Iverson, Kobe Briant e Shaquille. Prima di Michael Jordan, Scottie Pippen e Karl Malone, persino prima di Magic Johnson e Larry Bird. Jerry West è stato tra i più forti giocatori di basket che abbiano mai calcato i parquet d’America. Tanto forte e tanto iconico da diventare egli stesso un simbolo. Dei Los Angeles Lakers, la “sua” franchigia. E, ancora di più, di tutta l’Nba. “The Logo”, il logo della Lega è ispirato, infatti, a una sua immagine. Era lui il simbolo del basket americano. E oggi tutta la pallacanestro, mondiale, si ferma a salutare una leggenda che se ne va. Ma il cui posto, nella storia, rimane lì.
Jerry West, scomparso mercoledì a 86 anni, ha giocato e vinto tutto con i Lakers. Ne è stato bandiera in campo, poi in panchina e infine è stato direttore generale della franchigia con l’avvento di Jerry Buss, l’uomo che rivoluzionò lo sport-business, in America e non solo. West, che era nato nel 1938, dopo una brillante carriera nel basket universitario approda ai Lakers. Di cui diventa uomo bandiera “traghettando” la squadra in un’epoca d’oro, da Elgin Baylor fino a Wilt Chamberlain, dal 1960 al 1974. La franchigia diventa una presenza fissa alla Finals e ai Playoff ma i Lakers riescono a vincere l’anello “solo” nel 1972. Ciò non impedisce a West di siglare decine e decine di record, ancora oggi è tra i più prolifici realizzatori nelle statistiche delle finali. Quando si ritira dal basket giocato, la franchigia ritira il 44, il numero che indossava.
Le migliori soddisfazioni gli arrivano negli anni da dirigente. Con l’arrivo di Jerry Buss, nasce lo Showtime. I Lakers con Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar, James Worthy vincono tutto e rinfocolano la rivalità con i Celtic Boston di Larry Bird, Robert Parish e Kevin McHale. Sarà proprio l’eterna sfida Magic-Bird a fare dell’Nba un fenomeno globale prima dell’avvento della superstar di tutti i tempi, Michael Jordan.
Dopo quel ciclo meraviglioso degli anni ‘80, West riuscirà a inventarsene un altro qualche tempo dopo. Ingaggiò da Orlando Shaquille O’Neal e mise gli occhi su un allora giovanissimo liceale, con trascorsi in Italia, Kobe Briant. In panca, ai Lakers, arriverà Phil Jackson, autentico “guru” dei coach, protagonista assoluto del meraviglioso filotto inimitabile dei Bulls di Mj, Pippen e Dennis Rodman. Poi, dopo tanti anni, decise che era arrivato il momento di cambiare aria. E se ne andò, nel 2002, a Memphis. Dove trasformò i derelitti Grizzlies in un roster capace di centrare i playoff e di dire la sua nella sfida per l’anello. A 69 anni, nel 2007, decise di ritirarsi. Ma il richiamo del basket lo ammaliò ancora nel 2011 si unisce ai Golden State Warriors e li porta a vincere il titolo dopo quarant’anni di digiuno. Il settimo anello da dirigente. Poi, nel 2017, in quello che lo stesso Jerry West definì il giorno più triste della sua vita, lasciò San Francisco per tornare a Los Angeles. Sponda Clippers. Dove ha continuato a lavorare fino a quest’anno.
Jerry West è uno dei pilastri della Hall of Fame del basket (da giocatore ci è entrato nel 1980, da dirigente nel 2024). Nel 2019 è stato premiato dall’allora presidente Donald Trump con la Medal of Freedom. Ma prima di tutto ciò è stato un uomo che ha incarnato il “sogno americano” nel basket. Contribuendo a gettare le basi dell’approccio a questo sport. Fatto di talento, certo, che nessuno riusciva a cogliere e riconoscere come faceva lui. Ma soprattutto di etica del lavoro e di tenacia, determinazione. Il simbolo dell’Nba, la sagoma stilizzata di un cestista che prova a dribblare, è ricalcata da una sua foto durante una delle tante, tantissime, sfide contro i Celtics. E le parole più belle, su di lui, le ha pronunciate proprio un suo avversario e rivale storico, il simbolo di Boston, Bill Russell: “Come sapete, Jerry è l’uomo del logo ma per noi giocatori è stato molto di più: un uomo con un’anima”.
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