PRIMA PAGINA-Bentornato bipolarismo
Elly Schlein e Giorgia Meloni
A un anno esatto dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, padre del centrodestra, il dato politico che emerge su tutti dopo le elezioni europee è il rafforzamento del bipolarismo. Un modello snello a cui l’ex leader di Forza Italia aveva puntato quasi 17 anni fa, guardando addirittura oltre, con la fusione tra il movimento azzurro e Alleanza Nazionale in un unico partito, il Popolo della Libertà, del quale entrarono poi a far parte anche alcune altre formazioni minori del centrodestra. Forse i tempi non erano maturi o, più probabilmente, le varie anime che componevano il nuovo e innovativo soggetto politico non trovarono la sintesi necessaria e il progetto fallì. Il centrodestra tornò, dunque, ai vecchi assetti, ma qualcosa era comunque cambiato, perché si era nel frattempo insinuata la percezione di un quadro politico meno frammentato e che rendeva le forze in campo meglio riconoscibili. L’affermazione di Fratelli d’Italia e del Pd alle europee e in particolar modo il distacco che hanno dato agli altri partiti, in una tornata elettorale nella quale ognuno corre per sé, perché non sono previste alleanze, è probabilmente un ulteriore consolidamento di questo sistema. Il crollo del Movimento 5 Stelle, l’assoluta inconsistenza di Azione e Italia Viva, ma anche la crescita di Alleanza Verdi e Sinistra, dimostrano che lo spazio per quei partiti che provano a tenersi in equilibrio sul filo invisibile che separa i due campi di destra e sinistra si è notevolmente ridotto. Anche il risultato della Lega, che ha tenuto solo grazie a un candidato assolutamente outsider come il Generale Vannacci, è la riprova di come gli italiani abbiano espresso la propria preferenza seguendo uno schema molto più semplice ed essenziale di quello a cui è abituato il panorama partitico italiano, un modello destra-sinistra. Non c’è infatti alcun dubbio che ai prossimi appuntamenti elettorali la partita sarà tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein e che tutti gli altri, in particolar modo chi ha provato a far risorgere un’area centrista come Renzi e Calenda, non avranno altra scelta che accodarsi ai due grandi partiti che hanno monopolizzato i rispettivi schieramenti, pena la permanenza nel limbo dell’irrilevanza. Tutti i recenti appuntamenti elettorali hanno dimostrato che queste formazioni riescono a concorrere all’elezione di propri esponenti solo in coalizione, mentre da soli non vanno da nessuna parte. Per quanto riguarda poi le leadership, se guardando a destra c’è stata un’ulteriore conferma di come la coalizione sia saldamente nelle mani di Giorgia Meloni, nello schieramento avversario si sono, invece, chiariti gli assetti. Non solo il voto europeo, ma anche quello delle regionali in Piemonte e delle amministrative, in particolare a Bari e Firenze, hanno diradato il quadro degli equilibri rendendo ancora più sonora la batosta presa da Giuseppe Conte. Il Movimento 5 Stelle è stato totalmente irrilevante nella competizione piemontese ed è fuori dai ballottaggi nel capoluogo toscano e in quello pugliese, dove aveva addirittura provato a imporre al Pd il proprio candidato, dopo uno strappo che ha minato il campo largo. Anche la fase post voto, che porterà all’individuazione dei prossimi vertici europei, vedrà completamente esclusi Conte, Calenda, Renzi e Salvini, mentre il Pd potrà ritagliarsi un ruolo nel dialogo con il Pse e Tajani comparteciperà alle scelte del Ppe. Discorso a parte per Giorgia Meloni che prima in quanto premier e successivamente in qualità di presidente dei Conservatori europei sarà invece chiamata a un ruolo attivo. Già dal prossimo lunedì, quando a Bruxelles si terrà la cena informale dei capi di Stato e di governo per un primo confronto. Appuntamento già segnato dal giallo del mancato invito a Ursula von der Leyen, candidata per un bis alla guida della Commissione, che ha fatto sapere di attendersi un posto a tavola. Una pretesa che lascia trasparire un certo timore di non essere riconfermata e, probabilmente, anche la volontà di essere presente per dare all’esterno l’immagine di una comunione di intenti dei leader europei sulla sua investitura. Ma non manca chi fa notare come invece Manuel Barroso preferì tenersi ben distante, almeno formalmente, dalle trattative che condussero a un suo secondo mandato.
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