La vita che volevi e che il Papa dovrebbe vedere
“Le parole del Papa mi hanno offeso. Alcuni suoi comportamenti mi sono piaciuti, durante il lockdown ha aiutato economicamente e ospitato in Vaticano alcune donne transgender che erano delle sex-workers. Da questo stesso Papa non mi aspettavo venisse usato questo termine. Mi ha stupito moltissimo”. Così Ivan Cotroneo, recentemente ospite ai Diversity Media Awards, ha commentato le dichiarazioni di Papa Francesco, che caldeggiava – in una riunione a porte chiuse con i vescovi – la possibilità di non ammettere persone omosessuali nei seminari perché «c’è già troppa frociaggine». Dallo scorso 29 maggio Cotroneo, in tandem con la fidata Monica Rametta, ha rilasciato su Netflix la serie “La vita che volevi”: poteva essere una preziosissima occasione per sdoganare anche nel nostro Paese il tema della transizione, approfittando anche della presenza di Vittoria Schisano nel cast per dare profondità al racconto, invece non si esce mai dal recinto del melò.
La stessa Schisano, prima attrice transgender protagonista di una serie-tv italiana, non regge il peso delle aspettative: la sua recitazione è acerba, ancora più evidentemente quando con lei in scena c’è Pina Turco (Marina) che, di contro, padroneggia qualsivoglia registro, dal drammatico al brillante. Tra i ruoli secondari spiccano quelli di Eva (Bellarch), una specie di Fata Turchina che sembra uscita fuori direttamente dalla filmografia di Pedro Almodovar (apprezzo, in particolare, la capacità del personaggio di detonare attraverso l’ironia anche i momenti più drammatici) e di Andrea (Nicola Bello), figlio adolescente di Marina al centro di un segreto che riguarda anche il passato di Gloria. A ben guardare, il giovane è protagonista della seconda “transizione” che a “La vita che volevi” interessa raccontare: una “transizione emotiva” che lo aiuterà a liberarsi dell’idea che – specie quando parliamo di Amore e di Famiglia – non esiste la concezione di normalità.
Se amate Ferzan Ozpetek, qualche sua eco vi potrà capitare di percepirla durante la visione: l’assolato Salento di “Mine Vaganti” come location e la malattia (tra le ossessioni “drammaturgiche” del regista turco naturalizzato italiano) che da un certo punto in poi sferza il racconto. Il parallelismo è al suo massimo nella scena del confronto tra Alessandro/Gloria e suo padre, che ricorda molto da vicino la sequenza del coming-out di Riccardo Scamarcio col padre Ennio Fantastichini nel già citato “Mine Vaganti” del 2010, di cui Cotroneo è stato sceneggiatore.
Tra gli aspetti che più mi hanno colpito de “La vita che volevi”, a parte la colonna sonora che riunisce il meglio della canzone d’autore italiana, c’è il grande spazio che la spiritualità occupa nella vita di Gloria. La sua interprete sul tema ha dichiarato: «C’è una parte della Chiesa che crea distanza ma esistono anche dei preti illuminati. Come Don Aniello, colui che mi ha fatto fare tutti i sacramenti, che quando ho fatto coming-out con mia madre le ha ricordato chi fosse sua figlia».
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