Editoriale

Le riforme e la democrazia

di Adolfo Spezzaferro -


Le elezioni, seppur importanti – epocali, anzi, nel caso di queste Europee -, sono soltanto l’inizio. Non un punto d’arrivo. Più che un traguardo, all’orizzonte c’è un obiettivo quotidiano, un impegno costante nel perseguire il bene dei cittadini. I tanti slogan elettorali, le parole d’ordine, gli annunci, le promesse poi devono essere (in gran parte, almeno) i punti programmatici di governo. L’Unione europea va certamente riformata, migliorata, avvicinata ai cittadini. E per farlo deve cambiare prima l’assetto dell’Europarlamento e poi la composizione della Commissione europea. Un’impresa ambiziosa, sarebbe quella di ottenere autonomia strategica rispetto agli Usa e alla Nato e perseguire politiche economiche concrete e benefiche per l’eurozona – senza follie green, insomma – per essere al passo con i tempi, in un mondo multipolare dove l’Occidente come lo conosciamo noi non è più il centro di gravità permanente globale. E per riuscirci – se volesse provarci – l’Ue non può rimanere ostaggio di maggioranze eterogenee ed eterodirette. Diversa seppur comunque collegata a questo cambiamento epocale necessario per l’Europa è la situazione in Italia. Dove le riforme il governo Meloni le può fare, ha tutti i numeri per farle, e infatti ha già cominciato da un bel po’. Riforma della giustizia e della magistratura, autonomia, premierato. Riforme necessarie, irrevocabili per farci recuperare terreno. Se non è certo che l’Italia cambierà l’Europa, questo governo certamente sta già cambiando la nostra nazione. E chi prova a mettersi di traverso rispetto a riforme che renderanno il nostro Paese una democrazia ancora più compiuta deve rendersi conto che non può né deve sostituirsi alla volontà popolare. In queste ultime settimane abbiamo assistito a scene patetiche, a toghe che minacciano lo sciopero perché non vogliono la riforma della giustizia – ricordiamo all’Anm e compagni che i magistrati le leggi le possono solo applicare, non scrivere. Abbiamo visto l’opposizione stracciarsi le vesti contro il premierato, quando l’elezione diretta del presidente del Consiglio è la forma di democrazia più pura e per l’appunto diretta possibile: il cittadino sceglie in prima persona chi deve guidare il Paese, finalmente stabile. Basta governi tecnici, del Presidente, basta maggioranze in Aula “rubate” con il voto dei senatori a vita. Perché va bene il confronto politico, va benissimo la dialettica maggioranza-opposizione, ma nessuno può ostacolare il cammino di riforme che puntano al bene dei cittadini. Farlo è antidemocratico.


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