Tor di Quinto, lo scandalo del “poligono colabrodo” prima della strage di Fidene
Un poligono colabrodo, quanto a controlli e regole di sicurezza, quello di Tor di Quinto a Roma. Un vero e proprio scandalo, emerso ora nel corso del processo per la strage di Fidene. Se ne era accorto un ispettore di polizia, ma le sue relazioni finirono in un nulla di fatto.
La polizia aveva già segnalato falle nella sicurezza e aveva chiesto interventi sulle regole adottate dal poligono di Tor di Quinto a Roma già dieci mesi prima della strage di Fidene avvenuta l’11 dicembre 2022.
Nonostante due comunicazioni e un sollecito inviati a febbraio dal commissariato di Ponte Milvio, però, non furono adottati provvedimenti. È quanto emerso oggi davanti alla Prima Corte di Assise di Roma nel processo che vede imputati Claudio Campiti, l’uomo che l’11 dicembre del 2022 ha aperto il fuoco durante una riunione del consorzio Valleverde in un gazebo di via Monte Gilberto uccidendo quattro donne, oltre al presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma e un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, dove Campiti prese l’arma utilizzata poi per compiere la strage.
Le preoccupazioni da parte della polizia sulle norme di sicurezza adottate al poligono emersero dieci mesi prima della strage. Il 13 febbraio 2022, infatti, un uomo inviò una segnalazione su ‘Youpol’ annunciando l’intenzione di andare a prendere una pistola a Tor di Quinto e di voler andare in Vaticano per “risolvere questioni personali”.
Da accertamenti svolti nell’immediato si scoprì poi che l’uomo, residente a Montecompatri, non era pericoloso. Due giorni dopo, però, un ispettore di polizia andò al poligono di tiro – questa, l’occasione che forse avrebbe potuto condurre a impedre la strage di Fidene, con il rafforzamento delle regole di sicurezza nella struttura – e riscontrò diverse gravi criticità nelle norme adottate.
“Notai subito che non c’erano controlli di sicurezza all’entrata e all’uscita- ha detto l’ispettore sentito oggi come testimone- Fra l’armeria e la linea di tiro c’erano circa 200 metri, si passava dal parcheggio e dal cortile, dal quale era possibile uscire senza passare per alcun controllo”. “Parlai con il presidente del poligono, gli dissi che questa prassi non era giusta e che non si poteva continuare così”. In seguito a questo controllo, l’ispettore di Ps scrisse tre note con le quali si sollecitavano interventi sulle regole interne al poligono, ma nulla cambiò, fino all’11 dicembre 2022, quando Campiti si impossessò della pistola e andò a compiere la strage.
Relazioni finite in “un mare di pec”. “E’ successo che quelle tre note sul poligono non sono mai state viste dall’operatore, arrivano migliaia di pec al giorno. E’ stata una svista. Un fatto del genere non è mai avvenuto sotto la mia dirigenza. E’ stato purtroppo un caso unico’’. Così ha dichiarato in tribunale l’allora dirigente della divisione di polizia amministrativa, sentita oggi come testimone davanti alla Prima Corte di Assise di Roma.“E’ stata una disattenzione, una svista dell’operatore. Le note sul poligono non sono mai state portate alla mia attenzione – ha spiegato in aula rispondendo alle domande del pm Giovanni Musarò sulle segnalazioni inviate via pec dal commissariato di Ponte Milvio in relazione alle falle nella sicurezza al poligono di Tor di Quinto – Un operatore attento avrebbe dovuto portarla all’attenzione del dirigente. L’avrei esaminata e avremmo interessato i soggetti competenti, Sezione Tiro a Segno Roma, quello nazionale e Ministero della Difesa”.
“Il collega ha fatto il suo dovere segnalandoci anomalie ritenendo che avessimo qualche competenza, ma non avremmo potuto intervenire, avrei girato la nota a presidente del tiro a segno, Uits e Ministero della Difesa’’ ha concluso.
Parole non sufficienti, per i parenti delle vittime. ‘’Noi siamo qui nella nostra posizione, siamo sempre presenti a questo processo per capire tutte le cause che hanno portato a questa situazione ma avere una persona, che rappresenta un’istituzione e che assume un atteggiamento come quello che ha osservato oggi in aula, non contribuisce alla verità’’. Così Giulio Iachetti, marito di Fabiana De Angelis, una delle quattro vittime della strage di Fidene al termine dell’udienza del processo in cui, tra gli altri, è stata sentita l’allora dirigente della divisione di polizia amministrativa.
‘’Siamo qui per ricostruire la verità ma le risposte arrivate oggi non stanno dando un contributo alla verità – ha proseguito Iachetti, assistito dall’avvocato Francesco Innocenti – Ricordo a tutti che noi abbiamo i figli a casa che si chiedono perché è accaduto tutto ciò. Noi eravamo due persone che hanno costruito una famiglia, che senza risposte rischia di esplodere’’.
Torna alle notizie in home