Disco boy il primo film di Giacomo Abbruzzese
Disco boy è il primo lungometraggio di Finzione girato da Giacomo Abbruzzese. Il film è stato presentato al Festival di Berlino 2023, aggiudicandosi L’Orso d’argento per il Miglior Contributo Artistico.
Disco boy, la trama
Alesksei approfitta di una trasferta della sua squadra del cuore, per oltrepassare il confine della Bielorussia e giungere in Polonia. Il giovane, insieme a un suo amico, decide di continuare il viaggio, come clandestino, fino in Francia, dove si arruola nella Legione Straniera. Nel frattempo, nel Delta del Niger, Jomo, diversamente da Aleskei, resta nel suo Paese per lottare contro lo sfruttamento della sua terra.
Un film intenso e insolito
Giacomo Abbruzzese giunge a realizzare il suo primo lungometraggio, dopo aver girato diversi cortometraggi, perlopiù di natura documentaristica, come America e Fireworks. Quest’ultimo vincitore del Nastro d’argento, come Miglior Cortometraggio 2013.
Il regista progetta di realizzare Disco boy alcuni fa, scrivendo una storia non certo convenzionale, che ha necessitato del tempo prima di prendere forma sul grande schermo.
Il primo lungometraggio di Giacomo Abbruzzese è un film potente, intenso e visivamente molto bello, ma innegabilmente insolito, con una narrazione e una cronologia che sconvolge il naturale succedersi dei fatti.
Il visibile e l’invisibile
Detto ciò, si potrebbe considerare Disco boy come un’opera distante anni luce dalla realtà. nulla di più errato. Abbruzzese decide di trattare una tematica molto attuale: l’immigrazione. Il regista utilizza uno stile molto scarno, una messa in scena sostanzialmente povera, soprattutto nella prima parte del film, quando il giovane Alesksei (Franz Rogowski) giunge in Francia e poi si arruola nella Legione straniera.
La cinepresa del regista è al fianco del protagonista che ha deciso di scappare dal suo paese. Lo segue, cattura il suo viaggio dalla Bielorussia alla Francia, dove trova una nuova famiglia, pronta ad accoglierlo, la Legione straniera. È qui che Alesksei, ormai senza più nulla, decide di cancellare il suo passato, per ottenere in cambio una nuova vita. Una scelta fatta, almeno in un primo momento, perché lui non ha paura di nulla.
Il regista, poi, accosta questo stile scarno, tendente al documentario, con un altro molto più virtuoso che non mostra solo il visibile, ma l’invisibile. Questo secondo stile di regia entra nel tessuto filmico in più momenti, intensificandosi con la l’altra storia raccontata.
Diversamente da Alsksei, Jomo (Morr Ndiaye) ha deciso di restare nel suo villaggio in Nigeria, dove lotta per difendere il paese dallo sfruttamento delle compagnie petrolifere. Una scelta, solo apparentemente diversa da quella fatta dell’altro protagonista di Disco boy e che pone entrambi sullo stesso piano esistenziale. Il loro incontro è inevitabile, ma il regista decide di mostralo in un modo atipico, Alsksei e Jomo diventano due alieni, lo spazio e il tempo si dilatano per poi restringersi, soffocando i due personaggi.
Il prologo di Disco boy
Giacomo Abruzzese inizia mostrando la realtà nuda e pura, per poi andare oltre, inoltrandosi nella difficile operazione di scoprire l’invisibile. Luce e tenebre, giorno e notte, realtà e sogno entrano in gioco senza soluzione di continuità, in una scansione senza barriere ideologiche, seguendo un flusso naturale, ancestrale. La natura irreale della matrice visionaria del film è anticipata da un prologo che potrebbe risultare astratto, ma non lo è, o almeno non del tutto.
In questi primi minuti, il regista anticipa le asimmetrie del suo film. È in questo prologo che si ribalta il percorso interno che poi prenderà forma, infatti qui si parte dall’astrattismo per trasmettere la deformità – perfetta – dell’’esistenza, per poi giungere alla triste realtà vissuta dai due protagonisti.
L’astrattismo
L’astrattismo, più precisamente, la procedura della visual art serpeggia nell’intero del film, come la scena del combattimento nel fiume, mostrata attraverso un effetto che richiama i visualizzatori a infrarossi, usati in azioni militari. Un virtuosismo ben riuscito che riflette la narrazione. Una traslazione della vicenda in una dimensione dove il visuale si affievolisce a favore di una totale esperienza sensoriale.
Buona la prima! Per Disco boy, una favola contemporanea che mostra un viaggio sciamanico, al ritmo psichedelico. Giacomo Abbruzzase realizza una buona opera prima, il suo stile dimostra grande padronanza del linguaggio cinematografico e una messa in scena sempre evocativa, sia quando si utilizza una modalità documentaristica, sia quando si preferisce indagare il non visibile.
Il film, probabilmente, poteva essere smussato maggiormente per essere più asciutto, una piccola pecca compensata da una fotografia bellissima, curata da Helene Louvart.
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