Editoriale

l’Ia non è sapienza perché non ha cuore

di Adolfo Spezzaferro -


Il monito di papa Francesco sull’intelligenza artificiale in occasione della “Settimana della Comunicazione”, che si apre oggi e si concluderà domenica prossima 12 maggio, ci invita a una riflessione. Come è noto, il Santo Padre su invito del governo sarà presente anche alla sessione del G7 sull’Ia che si terrà a Borgo Egnazia dal 13 al 15 giugno, a riprova del grande interesse del capo della Chiesa sul tema. Non a caso il Pontefice parla di Ia in correlazione alla sapienza del cuore. Siamo dunque a quel Fides et Ratio di san Giovanni Paolo II che poi è alla base del cristianesimo (ossia il libero arbitrio). L’interesse della Chiesa per le implicazioni etiche dell’utilizzo dell’Ia è sintetizzabile nel titolo della 58esima Giornata della Comunicazione: “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana”. A tal proposito citiamo un passaggio-chiave del messaggio del Papa: “Benché il termine intelligenza artificiale abbia ormai soppiantato quello più corretto, machine learning, l’utilizzo stesso della parola ‘intelligenza’ è fuorviante. Le macchine possiedono certamente una capacità smisuratamente maggiore rispetto all’uomo di memorizzare i dati e di correlarli tra loro, ma spetta all’uomo e solo a lui decodificarne il senso. Non si tratta quindi di esigere dalle macchine che sembrino umane. A seconda dell’orientamento del cuore – ricorda il Pontefice -, ogni cosa nelle mani dell’uomo diventa opportunità o pericolo. Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza. Questa sapienza matura facendo tesoro del tempo e abbracciando le vulnerabilità. Cresce nell’alleanza fra le generazioni, fra chi ha memoria del passato e chi ha visione di futuro. Solo insieme cresce la capacità di discernere, di vigilare, di vedere le cose a partire dal loro compimento. Per non smarrire la nostra umanità, ricerchiamo la Sapienza che è prima di ogni cosa” e “ci aiuterà ad allineare anche i sistemi dell’intelligenza artificiale a una comunicazione pienamente umana”. La tecnologia non è il fine ma il mezzo e di per sé non è né buona né cattiva: sta all’uomo nel suo utilizzo a farne uno strumento di vita o di morte, di conoscenza o di ignoranza. A maggior ragione se tale strumento è l’intelligenza artificiale. Nessun rischio dunque di una macchina con Ia che domina l’uomo, piuttosto lo scenario che preoccupa la Chiesa (e deve preoccupare tutti) è una tecnocrazia dove la macchina che si autoistruisce (grazie alle informazioni fornite dall’uomo) sia scambiata per una forma di intelligenza. Che senza cuore, anima, spirito – chiamatelo come volete – intelligenza non è.


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