Economia

Draghi studia da leader e dà la sveglia all’Europa

di Giovanni Vasso -


Il discorso di Mario Draghi dà la sveglia all’Europa. Le sue parole dicono due cose. La prima, evidente, diretta e immediata: l’Ue non ha alcuna chance di competere contro Usa e Cina ed elenca una lunga serie di ritardi, errori, divisioni e conflitti interni che frenano la crescita del Continente. La seconda, altrettanto evidente ma più indiretta: il suo è un discorso che, dietro i tanti, e ovvi, riferimenti economici nasconde una visione politica chiara, nitida e ambiziosa. Draghi, parlando a un convegno organizzato dalla presidenza belga del Consiglio europeo a La Hulpe nel Brabante Vallone in Belgio, si sta “candidando” a uomo forte dell’Ue. E sarebbe lui, ma questa è un’altra storia, l’unico in grado di mettere d’accordo tutti per il dopo Ursula.

Mario Draghi ritiene necessario, per l’Europa, partire da una priorità innegabile: “I nostri rivali marciano avanti a noi, con un vantaggio, perché possono agire come un unico Paese, con un’unica strategia, e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo uguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri: una ridefinizione della nostra Unione, non meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa, con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”. Insomma, ci vuole più Europa. Ma non per finta, né per slogan. “La coesione politica della nostra Unione – continua – richiede che agiamo insieme, possibilmente sempre. E dobbiamo essere consapevoli che la nostra stessa coesione politica è oggi minacciata dai cambiamenti nel resto del mondo. Ripristinare la nostra competitività non è una cosa che possiamo raggiungere da soli, o solo battendoci a vicenda. Ci impone di agire come Unione Europea in un modo mai avvenuto prima”.

Competitività, dunque. Il primo passo necessario, per rendere l’Europa (di nuovo) la potenza globale che ambisce a essere, è rendersi conto del proprio, attuale, stato di impotenza, quasi irrilevanza, sullo scacchiere mondiale. “Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale”. In pratica, siamo scarsi, scarsissimi, nel settore più decisivo per gli equilibri geopolitici dei prossimi decenni. Non abbiamo un solo (vero) paladino tech in Europa e le aziende che ci sono, sono troppe e non all’altezza della sfida globale. Divide et impera. Solo che ci siamo “divisi” da soli. “Non stiamo sfruttando la dimensione è quello delle telecomunicazioni. Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumatori nell’Ue, ma gli investimenti pro capite sono la metà di quelli degli Stati Uniti e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra”. Prendete, ad esempio, il caso italiano. Per tentare di superare l’impasse di un programma che stenta a decollare, il governo ha “chiamato” Elon Musk e la sua Starlink satellitare. Con il rischio di innescare una furibonda guerra commerciale con Tim. “Uno dei motivi di questo divario – continua Draghi – è che in Europa abbiamo 34 gruppi di reti mobili (e questa è una stima prudente, in realtà ne abbiamo molti di più), che spesso operano su scala nazionale, contro tre negli Stati Uniti e quattro in Cina. Per produrre maggiori investimenti, dobbiamo razionalizzare e armonizzare ulteriormente le normative sulle telecomunicazioni tra gli Stati membri e sostenere, non ostacolare, il consolidamento”.

Gli altri, tuona Draghi, non ci aspetteranno. Né faranno nulla per aiutarci. Nessuno ci darà una mano. Nemmeno gli amici americani. Anzi, forse è da loro che arriva una sfida abbastanza pericolosa per il futuro dell’Europa: “Gli Usa utilizzano la loro politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiera ad alto valore aggiunto all’interno dei propri confini, inclusa quella delle aziende europee, usando nel contempo il protezionismo per tagliare fuori i concorrenti e dispiegando la propria potenza geopolitica per riorientare e mettere in sicurezza le catene del valore”. L’Ira di Biden e i suoi effetti. Prodigiosi, per gli States che nelle scorse settimane sono riusciti a convincere un colosso dei semiconduttori come la taiwanese Tmsc, impensierita (e non poco) dal clima teso e di scontro con Pechino che ambisce ad attuare la sua politica dell’unica Cina, a “stabilire una seconda base” in America.

Infine, Draghi striglia anche le banche e le istituzioni finanziarie europee. Ci vuole più Europa, dice l’ex premier italiano, per mettere a punto l’attuale sistema bancario. Che, così com’è, non va. E, soprattutto, non serve granché a nessuno. “L’Ue dispone di risparmi privati ​​molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Questo è il motivo per cui il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività”. In pratica, afferma l’ex governatore della Bce, a che serve continuare a godere di ingenti depositi se poi le banche non danno quei soldi a chi potrebbe investire nel futuro tech dell’Europa? “Una volta identificati i beni pubblici europei – continua Draghi – dobbiamo anche darci i mezzi per finanziarli. Il settore pubblico ha un ruolo importante da svolgere, e ho già parlato in precedenza di come possiamo utilizzare meglio la capacità di prestito congiunta dell’Ue, soprattutto in settori, come la difesa, in cui la spesa frammentata riduce la nostra efficacia complessiva. Ma la maggior parte del gap di investimenti dovrà essere coperto da investimenti privati”. Altro che Esg. La verità, spiega Mario Draghi, è che “nell’economia dell’Europa esistono diversi punti di strozzatura in cui la mancanza di coordinamento fa sì che gli investimenti siano inefficienti. Le reti energetiche, e in particolare le interconnessioni, ne sono un esempio. Si tratta di un chiaro bene pubblico, poiché un mercato energetico integrato ridurrebbe i costi energetici per le nostre aziende e ci renderebbe più resilienti di fronte alle crisi future, un obiettivo che la Commissione sta perseguendo nel contesto di RePowerEu”. È tutto concatenato, tutto connesso. Ma non è Matrix, sia chiaro: “Le interconnessioni – afferma Mario Draghi – richiedono decisioni sulla pianificazione, sul finanziamento, sull’approvvigionamento di materiali e sulla governance che sono difficili da coordinare, e quindi non saremo in grado di costruire una vera Unione dell’energia se non raggiungiamo un approccio comune. Un altro esempio è la nostra infrastruttura di supercalcolo. L’Ue dispone di una rete pubblica di computer ad alte prestazioni (Hpc) di livello mondiale, ma le ricadute sul settore privato sono attualmente molto, molto limitate”. Ci vuole più Europa, dice Draghi. Che si prepara a recitare un ruolo di primo piano tra Bruxelles e Strasburgo.


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