Marco Travaglini: “Una rivoluzione culturale per le Pmi e non solo”
L’Italia è il Paese di tante bellezze, ma anche delle belle parole. “Se va a vedere, da trent’anni a questa parte quando si parla di ricerca e innovazione, si dicono sempre le stesse cose, pronunciando le stesse identiche parole. Ma poi non cambia mai niente, soprattutto per le imprese che operano sul mercato che io chiamo off, un mercato rimasto al metodo di lavoro del secolo scorso, basato sul focus del solo prodotto e non propenso a vedere l’impresa come sistema e come modello complesso di lavoro, composto da comunicazione, processi, finanza, tecnologia e risorse umane.” Marco Travaglini è un imprenditore al quadrato: è fondatore di Mama Industry, società specializzata nell’affiancare le piccole e medie imprese che devono affrontare il nodo, decisivo, della trasformazione. Debbono farlo, per sopravvivere. In un Paese in cui, nonostante le belle parole, non cambia mai nulla, soprattutto a livello metodologico dell’ecosistema del lavoro, dell’innovazione e del fare impresa con valore aggiunto. “Caste, burocrazia e rendite di posizione ostacolano l’economia – afferma Marco Travaglini – e ne nascono, di caste, di burocrazie e quindi di rendite di posizione, sempre nuove e diverse. Ci sono nuovi regolamenti, adempimenti, nuove tecnologie e nuovi servizi indiretti che hanno letteralmente preso posto al margine del valore aggiunto delle piccole imprese che sono focalizzate solo sul prodotto e non sanno gestire, mediante processi e innovazione, tutte queste novità. Costrette a lavorare sotto margine dunque, spesso tiranneggiate dalle grandi imprese nelle catene del subappalto, con le conseguenze, catastrofiche, che conosciamo. Una su tutte, l’evasione che oserei definire, in certi contesti, di sussistenza; per non parlare anche di precarietà, bassa natalità, bassa sicurezza e disuguaglianze legate al un modello ormai di mancanza di produttività e attenzione alla creazione del valore aggiunto, primo male sociale, forse, del nostro paese”. Eppure, una via di fuga ci sarebbe. Ma, anche questa, è sbarrata. “Nuove caste fioriscono, l’ultima sembrerebbe essere quella dei professionisti dell’innovazione e del terziario avanzato, che appaiono troppo restie e reticenti alla condivisione di conoscenze, soprattutto verso tale mercato definito “off”, fuori (o a schiaffo) delle filiere, fuori dagli ecosistemi imprenditoriali, fuori dai grandi centri urbani. Il limite è nel modello: in tale mercato “off” si lavora senza la visione del valore aggiunto e dell’innovazione di sistema, si è fuori dai mercati ed è difficile trovare uno sbocco che consenta a una “PMI-off” di crearsi strade, mercato e alternative diverse: dall’altra parte, l’offerta di affiancamento delle professioni, non è adeguata (o non vuole adeguarsi…) a tale domanda. Ci vuole una rivoluzione culturale e metodologica per entrambi”. Il problema, per Travaglini, non è più cosa ma come e soprattutto chi: “Una volta si parlava del know how: del sapere come fare qualcosa, come acquisire una conoscenza. Oggi, invece, il grande dramma di molte Pmi appunto “off” è prima il know who: gli imprenditori non sanno a chi rivolgersi per cambiare le cose. Certo, ci sono anche le associazioni di categoria, ma, troppo spesso, l’assistenza offerta non sembra al passo con le richieste e le sfide che l’economia italiana deve affrontare, legate ancora a logiche di rappresentanza e basta; ci sono anche le istituzioni, il mondo accademico o le grandi imprese di sistema, ma sono distanti dalla “strada” di tali PMI-off”. Già, perché il Paese delle belle parole, quello del Made in Italy e della creatività, ha scoperto che non sa più ne innovarsi in termini di processo e modello e, soprattutto, vendersi; né, tantomeno, riesce a stare al passo coi modelli produttivi che arrivano da altri sistemi economici: “Da un lato, bello celebrare il genio di Leonardo da Vinci, ma non sappiamo comunicare e “venderci” come sanno fare gli americani – spiega Marco Travaglini -, dall’altro, bello esaltare l’inventiva degli artigiani e dei piccoli imprenditori italiani ma la nostra produttività è troppo indietro, per esempio, alla Germania o alla Francia. Dobbiamo ripartire da un modello di innovazione di sistema convincente e di ritrovata produttività e capacità di creare valore aggiunto non solo dal prodotto ma soprattutto dal modello di business e di lavoro delle nostre imprese: per questo il ruolo del terziario avanzato è fondamentale per la diffusione capillare di conoscenza e l’affiancare tutte le imprese “off” nel portare metodi e modelli nuovi di business, lavoro e innovazione.”
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