PRIMA PAGINA – Sextortion, il ricatto sessuale contro gli uomini, minori compresi
Il fenomeno del revenge porn è una delle nuove piaghe che corrono nell’universo della rete. Il recente caso della dipendente licenziata dell’associazione calcistica As Roma dopo il furto di un video hot che la ritraeva in intimità, ha fatto tornare alla ribalta della cronaca un fenomeno purtroppo sempre più diffuso, quello della condivisione non consensuale di materiale intimo (IBSA, Image-Based Sexual Abuse). Ma il revenge porn si distingue per un dettaglio, è legato a una forma di vendetta. Una storia finisce, e le donne (le vittime sono per lo più femminili) ritrovano diffusi in rete video e foto che le ritraggono in atteggiamenti privati, con tutte le conseguenze emotive e sociali del caso.
Ma c’è un altro dato, relativo invece a un fenomeno di cui in Italia si parla poco e che conta invece più vittime maschili, quello del reato di sextortion, ossia una truffa basata su un’estorsione a sfondo sessuale. Per quanto riguarda i numeri nel 2022-2023 l’associazione Permesso Negato ha supportato oltre 600 vittime di sextortion, delle quali meno di 100 donne e 500 uomini, prevalentemente italiani.
Ma come funziona, questo raggiro? La classica dinamica è la conoscenza di una persona online (che spesso si rivela poi essere un profilo fake). Il potenziale truffato riceve richieste di amicizia via social da soggetti, di solito donne, particolarmente avvenenti. In quel momento il truffatore cerca un contatto col potenziale truffato e una volta creata una sorta di amicizia o di legame di fiducia, tenta di dare vita ad un momento intimo di sexting via cam, durante cui la vittima viene registrata di nascosto. Con la registrazione estorta il truffato viene poi ricattato a suon di “o paghi questa cifra o inviamo il video a tutti i tuoi contatti social”. E questi uomini, per evitare che un loro momento di intimità finisca sotto gli occhi di un familiare o del proprio datore di lavoro, alla fine pagano migliaia e migliaia di euro. Ma non si finisce mai di pagare finché non si denuncia, perché si tratta di un meccanismo estorsivo senza fine. È un fenomeno in costante aumento tant’è che l’associazione Permesso Negato sta lavorando ad una ricerca ad hoc. E dall’inizio di quest’anno, l’associazione in questione ha già supportato 64 persone vittime di sextortion, delle quali 4 donne e 60 uomini.
Secondo i dati forniti dalla Polizia Postale nel 2023 le vittime minori di sextortion sono 136, in aumento rispetto al 2022 (erano 130) e per la maggior parte maschi minorenni tra i 14 e i 17 anni. Notevole anche il numero di bambini vittime di adescamento in rete con meno di 9 anni, per la precisione 31 casi. A supporto di un aumento generico del reato, si indica che nel solo mese di agosto 2023 le segnalazioni di casi di sextortion ricevute dalla Polizia Postale sono state oltre un centinaio, in danno di adulti e minori, e quasi sempre maschili.
«Abbiamo motivo di pensare che i reati di sextortion non denunciati siano molti di più di quelli denunciati», sostiene Edel Margherita Beckman, criminologa clinica e socia di Permesso Negato, «le modalità per contrastare il fenomeno sono tante, in primis cercare accordi con le piattaforme social per bloccare la diffusione di materiale intimo in rete. Da quando Permesso Negato è nata nel 2019, abbiamo assistito circa 4.000 vittime e potenziali vittime di condivisione non consensuale di materiale intimo, hate speech e odio online. È un problema molto vivo. Anni fa molte condivisioni di materiale intimo avvenivano sui social. Inizialmente non c’era una regolamentazione chiara a riguardo. Oggi invece Facebook è una delle piattaforme più reattive».
«Noi – prosegue la criminologa – forniamo un supporto tecnologico, legale e psicologico gratuito. Il nostro cavallo di battaglia è stata inizialmente la rimozione preventiva, ossia la possibilità di creare un’impronta digitale sul materiale intimo in questione, che consente, appena postato, il blocco immediato della condivisione. Dall’inizio del 2023 è nata la piattaforma StopNCII.com, utile a rimuovere dalla rete le immagini intime diffuse non consensualmente. Vi si appoggiano molte associazioni per attivare la rimozione preventiva e varie piattaforme, tra cui Meta, Bumble, Tik Tok». Ma non tutte sono collaborative, spiega la Beckman. «Telegram è l’unica piattaforma che non collabora, siamo a conoscenza di ben 147 gruppi attivi, che condividono ogni giorno materiale intimo e pedopornografico e continuano a farlo. Se un truffatore tenta di portare una vittima su Telegram è molto difficile per noi poterla difendere, perché è un ambiente meno regolamentato e per certi versi pericolosamente libero».
Ci mancava solo l’Ai
L’avvento dell’intelligenza artificiale degli ultimi tempi non aiuta, ha dato un supporto ai truffatori. «Altro tema i deep fake porn, cioè video porno falsi. Esistono ormai programmi – spiega la Beckman – che spogliano le persone ed è difficile riconoscerli come fake. Il danno reputazionale è pesantissimo. E questo ci espone anche a possibili estorsioni da parte dei truffatori. Rimane importante denunciare. Molti non sanno che esistono realtà associative come la nostra gratuita, pronte ad aiutare chi cade in questa rete».
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