75 coltellate, sui social il macabro spettacolo dell’inconsapevolezza
75 coltellate. Settantacinque. Pensate quanto sia atroce ricevere una coltellata soltanto (ma anche quanto sia atroce darla, ciò che a chi scrive rimane inspiegabile), e poi moltiplicate per settantacinque. Queste coltellate, settantacinque, hanno stroncato la vita di Giulia Cecchettin, e come tutti sappiamo ad infliggerle è stato il suo ex-ragazzo, Filippo Turetta. Come se non bastassero il dolore e lo sgomento terrificante per questa vicenda, dopo la sentenza che ha condannato all’ergastolo Turetta -senza alcune attenuante concessa, sia ben chiaro a tutti- si è scatenata l’indignazione perché la corte non ha riconosciuto l’aggravante della crudeltà. Questa specifica parte della sentenza (dal punto di vista giuridico ineccepibile, ma ci torneremo) ha aperto come purtroppo spesso accade, il vaso di Pandora dei commenti a capocchia, non certo una novità. Ma in questo caso si è aperta anche la gara al video (meme, reel, storia, etc) più originale e fico per commentare sui social l’accaduto. Una vera e propria challenge online, con tutti i nostri social intasati da chi accoltellava meloni, chi cuscini, chi dava pugni ad un peluche come se impugnasse un coltello, fino alla più incredibile, scovata da Selvaggia Lucarelli: una personal trainer che in un video si presenta in bikini e si dipinge addosso settantacinque pseudo ferite con dello smalto rosso. Lontani da ogni moralismo, vogliamo riflettere con voi su fenomeni di questo genere, poiché crediamo che la memoria d’una ragazza massacrata così giovane e senza colpe addosso, debba essere onorata anche ragionando, studiando, cercando di capire quale epoca stiamo vivendo e perché tutto accada talmente in fretta da lasciarci sempre indietro, attoniti. I social sono stati un’invenzione democratica, avendo controbilanciato il potere dei media verticali tradizionali (giornali, radio, TV, etc), dove poteva produrre contenuti solo chi stava dall’altra parte dello schermo o della rotativa. I social offrono a chiunque la possibilità d’essere letto e visto da chiunque altro. È dunque normale che si voglia commentare, che ci si esponga, che si pensi qualcosa e la si dica o scriva magari senza rendersi pienamente conto delle implicazioni connesse a ciò che si pubblica. Però stavolta crediamo si sia passato un limite, che non è certo quello del buon gusto (chi siamo noi per decidere cosa lo rispetti o meno?) ma quello dell’opportunità e soprattutto della consapevolezza di ciò che si sta facendo. Centinaia di utenti social, da anonimi ragazzi a psicologi, sociologi, e influencer di vario genere, non solo hanno commentato una sentenza senza avere gli strumenti giuridici per farlo (i giudici han rispettato la legge e inflitto il massimo della pena), ma soprattutto senza capire che stavano improvvisando uno spettacolino casalingo che ricordava un terribile omicidio, non uno screzio dell’ultimo Sanremo. E l’impressione che ne abbiamo tratta è proprio questa: in totale buonafede, migliaia di persone si son messi ad accoltellare oggetti e realizzare piccoli show come se stessero commentando un rigore non dato o un battibecco fra tronisti. Questo è preoccupante perché rivela una distanza enorme, importantissima, fra ciò che si fa sui social e la percezione di ciò che si sta facendo. Se è complicato sempre sapere gestire il proprio narcisismo, la propria rabbia, la propria partigianeria, l’aggressività, l’eccitazione e così via, sui social sembra quasi impossible, e il rendersi ridicoli o inopportuni senza averne contezza pare un’epidemia diffusa in modo inarrestabile.
Il rispetto dovuto a Giulia Cecchettin non rende assurdo questo macabro show collettivo? E il fatto che -salvo rarissime ciniche eccezioni- chi se ne è reso protagonista lo ha fatto in buonafede per sensibilizzare l’opinione pubblica sul martirio di Giulia e sull’inadeguatezza di una sentenza, non deve inquietarci come poche altre cose? Stiamo da giorni parlando di dazi, di guerra, di tasse che potrebbero soffocare le ali delle nostre imprese e inasprire le già evidenti difficoltà delle nostre famiglie. Stiamo parlando di scelte fatte dai potenti della terra, di capricci e ripicche voluti da chi sta a settemila chilometri da noi, ma su quanto accade nelle nostre case ogni giorno, sullo smarrimento della capacità d’analisi e di misura delle cose -che ci coinvolge tutti!- non sarebbe il caso di parlarne altrettanto, e con altrettanta preoccupazione?
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