35 anni fa la caduta del Muro di Berlino, alla ricerca di nuovi equilibri
Il 9 novembre 1989, dopo settimane di scontri e disordini le autorità della Germania dell’Est, comunicano che per i propri cittadini, sarà possibile attraversare il confine presso uno dei numerosi Check point presenti lungo il muro, che divide Berlino tra il Blocco Sovietico e quello Atlantico. Molti sono increduli, quasi sotto shock. Si riversano in strada a fiumi, prima soltanto verso i varchi con documenti alla mano, ma via via tutti si fanno prendere da un’euforia incontenibile, si arrampicano sul muro, lo scavalcano e si uniscono alla folla che festeggia dal lato opposto. È un vero delirio, nei giorni seguenti vengono prima asportati, dai cittadini, pezzi di muro e poi le autorità ne inizieranno la demolizione con mezzi meccanici.
Se è vero che vi era la certezza che prima o poi la Germania sarebbe stata riunificata, era altrettanto vero che in pochi ci credevano, meno che mai tra gli stessi dirigenti tedeschi. Le cronache di quelle ore raccontano che la mattina del 9 novembre, il cancelliere della Germania Occidentale Helmut Kohl e il ministro degli esteri Genscher si trovano a Varsavia per un incontro con il leader di Solidarność: Lech Wałęsa, il quale chiese ai due quando, secondo loro, sarebbe finalmente caduto il muro di Berlino, la risposta secca fu: “Succederà, ma prima cresceranno i cactus sulle nostre tombe”. La sera stessa i due ebbero grandi difficoltà a rientrare a Berlino, al punto che il primo discorso celebrativo della caduta del muro lo fece il loro rivale, il socialdemocratico Willy Brandt.
Ormai il dado era tratto e si era innescato quel processo, a tratti burrascoso, che avrebbe riportato la Germania ad esse un unico Stato, tappa fondamentale fu l’entrata in vigore del Trattato sull’unione monetaria, economica e sociale tra i due Stati del 1º luglio 1990. A questo punto mancava solo la riunificazione vera e propria, che fu gestita come una mera annessione dei lander dell’est alla Germania dell’ovest ufficializzata 3 ottobre 1990. La divisione della Germania era il simbolo tangibile della divisione del mondo tra il blocco comunista e quello capitalista, la sua riunificazione fu possibile perché quel mondo era in crisi e la crisi era dovuta allo sgretolamento dell’Unione Sovietica. L’URSS, attraverso una serie di riforme aveva provato a non morire, ma le sue contraddizioni interne e soprattutto la crisi economica inarrestabile, alla quale le strategie economiche socialiste non riuscivano a porre un argine, lo resero impossibile. La pietra tombale del sistema a blocchi contrapposti, la caduta della cortina di ferro, forse non si ebbe con il clamoroso e plateale crollo del muro di Belino ma con il meno appariscente cambio della guardia al Cremlino, il giorno in cui si dimise l’ultimo presidente dell’URSS e la bandiera rossa fu ammainata e sostituita dal tricolore russo.
Si apriva un’era nuova nella quale ci troviamo ancora oggi, un’era in cui è venuta meno la netta definizione degli schieramenti, e con essa, una più difficile lettura degli equilibri di forza e degli attriti internazionali. Le aree di influenza delle super potenze, ammesso che ve ne siano veramente altre, oltre agli Usa, sono sfumate e mutevoli, tanto che molte potenze regionali riescono a giocare su più tavoli con estrema disinvoltura, chiedere a Erdoğan per informazioni.
Dario Fabbri, noto esperto di geopolitica, è convinto che l’India non sarà mai una super potenza perché non è, e non può essere, una vera nazione. La Cina invece, dopo aver costruito il suo impero economico, grazie alla cupidigia del consumatore medio occidentale che vuole tutto pagando niente o quasi, ora sta reclamando il suo spazio politico, la sua sfera d’influenza, il suo impero. Non è ancora possibile capire se la crisi d’identità degli Stati Uniti si arresterà, e se l’Occidente riuscirà ancora a contare qualcosa sulla scena mondiale. Le recenti elezioni Usa forse ci dicono qualcosa in tal senso, saranno il colpo di coda del decadente impero americano o segneranno una sua rinascita? E l’Europa, non sarà il caso che colga la palla al balzo, per rendere le proprie strutture politiche e militari più solide? Lo vedremo. Intanto c’è da dire che ci sono ancora tanti nostalgici del Muro, certo non di quello fisico, ma forse dell’equilibrio, seppure pericoloso, che vi aveva gravitato intorno, quella situazione appare paradossalmente meno scricchiolante di questo 2024 dove, come ha detto anche il Papa, stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto globale”.
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